sabato 29 gennaio 2011

tredicesima puntata

Finora abbiamo parlato, o miei amici, incominciò l’instancabile Cavalier Prosdocimo, di operazioni che si fanno attorno alla pianta. Dobbiamo ora preoccuparci anche di quelle che bisogna fare al terreno, su cui le nostre viti si trovano. Il terreno del vigneto deve essere mantenuto in buone condizioni con due categorie di operazioni: con i lavori e con le concimazioni. Stassera parleremo dei primi. I lavori al terreno del vigneto possono essere fondamentali: sono quelli che si fanno all’impianto, e ne abbiamo parlato: Oppure possono essere ordinari: sono quelli che si fanno annualmente. E di questi ci occupiamo ora.
Credo inutile dimostrarvi che il terreno del vigneto deve essere lavorato: questo sapevano anche i nostri nonni, e questo sapete anche voi: Tuttavia non sarà fuor di luogo ricordare ( poiché qualcuno, sentendone parlare in qualche occasione, potrebbe entusiasmarsi a sproposito) che in questi ultimi tempi s’è andata qua e là facendosi strada una curiosa teoria, per cui il vigneto non dovrebbe essere lavorato. E’ ciò che s’è chiamato l’incultura della vite. Alcuni dunque han detto e sostenuto che i vigneti non lavorati stanno meglio di quelli lavorati. Gran bella cosa…..se fosse vero: Peccato che ….ciò sia vero troppo di rado! Badate che non ho detto che non possa essere vero, perché non vorrei dar dell’impostore a nessuno; ma ho detto che troppo raramente quest’incultura può davvero essere consigliabile: Ed è per ciò che qui non credo sia il caso di entrar in particolari al riguardo. Per ciò che a voi può interessare, io quindi ripeto coi nostri vecchi: il buon viticoltore deve bene lavorare il terreno del suo vigneto.
M’affretto però subito ad aggiungere che oggi il saggio viticoltore deve cercar il modo di lavorar bene il suo vigneto ma con la minima spesa. E qui dovrei ripetere cose già dette e a voi ben note: il valore, che par vada scemando, dell’uva e del vino, i salari che van sempre crescendo della mano d’opera…. Ma non voglio perdermi in chiacchiere, e vengo ai fatti.
Diciamo subito che, in generale, una buona lavorazione dei vigneti importa un primo lavoro, più profondo degli altri ( ma non troppo, come un tempo si credeva: basta, nell’Italia settentrionale, una ventina di centimetri), da farsi in autunno o al principio dell’inverno. Un secondo lavoro, mediamente profondo, da farsi in primavera, prima della fioritura della vite. Un terzo lavoro, più superficiale degli altri, da farsi in estate, prima che l’uva cambi colore.

Non vi parlo del modo di eseguir praticamente questi lavori: son cose che voi potete insegnare a me. Però ricordo come non di rado questi lavori si facciano rincalzando o scalzando le viti. Ora, sulla convenienza di queste rincalzature e scalzature delle viti i pareri sono alquanto diversi. Dico subito che queste divergenze son dovute agli scopi ben differenti che tali operazioni possono prefiggersi a seconda dei luoghi.

Così, per esempio, nei climi caldi per lo più le viti si scalzano in autunno e si rincalzano a primavera. Perché? Perché laggiù piove specialmente in inverno, e si vuole, con la scalzatura, accumulare più acqua che sia possibile ai piedi delle viti. Nei paesi settentrionali invece di solito si rincalza in autunno e si scalza a primavera. Perché? Perché così le viti son meglio protette dal freddo, e perché il solco, che viene a restare in mezzo al filare, impedisce alle acque di pioggia o di neve di ristagnare ai piedi delle viti. Se però devo dirvi il mio parere, nei nostri paesi di collina, dove il freddo invernale non è eccezionalmente rigido, dove non vi è da temere eccesso di umidità attorno alle viti, non vedo la necessità ne di scalzare né di rincalzare. Basta lavorare il terreno alla pari, senza cercare inutili complicazioni.


Altro punto discusso, a proposito dei lavori del vigneto, è quello dell’opportunità o meno di fare ad esso dei lavori profondi. In questi ultimi tempi, dopo la corrente favorevole alla incultura della vite, un’altra s’è andata manifestando per la cosiddetta cultura superficiale. A dir il vero, questa pare raccolga maggiori simpatie e sembra anche più degna di attenzione. Ritengono dunque, i partigiani della cultura superficiale, che i lavori profondi al vigneto facciano più male che bene: E ciò soprattutto perché essi vengono, quasi inevitabilmente, a danneggiare molte delle radici superficiali della vite: radici che hanno grande importanza per il normale sviluppo della pianta.


Facendo invece lavori superficiali, queste radici verrebbero rispettate, mentre d’altra parte la superficie del terreno del vigneto si manterrebbe in buone condizioni. Chi ha ragione? Anche qui, molto dipende dalle condizioni naturali della località di cui si tratta. Tuttavia, in linea generale, si può ritenere che, se questa coltura superficiale può avere fortuna nei climi settentrionali e freschi, dove l’umidità non difetta mai, non altrettanto essa potrà adattarsi ai climi caldi e dove la siccità siano frequenti e prolungate. In queste condizioni, i lavori discretamente profondi saranno quelli più indicati per immagazzinare nel terreno una sufficiente provvista di acqua.


Ma in fatto di lavori al vigneto c’è però un argomento che oggi dev’esser preso nella maggior considerazione: è quello della lavorazione meccanica del terreno, per risparmiare al più possibile mano d’opera e quindi spese di coltivazione. Questo risparmio sarà tanto più notevole quanto maggiormente si riuscirà a sostituire all’opera dell’uomo il lavoro degli animali. Per poter fare questa sostituzione, occorre innanzi tutto che le condizioni del Vigneto permettano il lavoro degli animali, si capisce come questo non potrà utilmente applicarsi, dove i vigneti si trovano sopra colline troppo ripide o accidentate, dove il terreno è roccioso, dove, soprattutto, i filari son troppo ravvicinati, sicché gli animali non possono liberamente lavorare. Ecco perché dicevo, sere fa, che oggi in generale è più conveniente che non un tempo la viticoltura consociata a piante erbacee: perché essa, obbligando ad allargare gl’interfilari, rende anche possibile, o per lo meno più agevole, il lavoro con gli animali.
Ma occorre, inoltre, avere per questo lavoro degli adatti strumenti. Fino a qualche anno fa, si può dire che l’unico strumento conosciuto ed usato a questo scopo fosse l’aratro. E tutti voi conoscete quegli aratrini leggeri da vigneti, con orecchio fisso o mobile, che vengono facilmente trainati da un cavallo o da un mulo e che fanno un discreto lavoro. Oltre a questi aratri comuni, oggi però si conoscono vari strumenti, o meglio, macchine per la lavorazione del terreno dei vigneti. Fra le migliori, ricordo le zappe –cavallo: macchine fornite di un numero vario ( per lo più cinque) di zappette, disposte su file parallele, sicché possono lavorare una striscia di terreno abbastanza larga, tanto da bastare una o due corse per lavorare tutto un interfilare d’un vigneto intensivo. Siccome basta un mediocre animale a trascinarle, fanno un lavoro molto economico, alquanto superficiale, è vero, ma adatto alla stagione primaverile-estiva, quando cioè ai lavori si domanda più che altro la funzione di mantenere la superficie del terreno smossa e libera da cattive erbe.

Oltre alle vere zappe-cavallo, si conoscono altre macchine che fanno un lavoro diverso: sono i cosiddetti estirpatori, coltivatori ecc: tutti destinati a far lavori molto solleciti e piuttosto superficiali. E infine vi ricordo un’altra categoria di strumenti, ancor poco nota in Italia, ma già abbastanza diffusa all’estero, dove si bada, più che da noi non si creda, all’economia delle lavorazioni. Voi sapete che quando si lavora il terreno delle vigne con l’aratro ( e lo stesso press’a poco si può dire per gli altri strumenti di cui parlavo) resta sempre una striscia di terra più o meno larga sotto i ceppi, che dallo strumento aratorio non può venir lavorata, e che deve invece essere ultimata col lavoro umano.



Ora, evidentemente ciò fa perdere una parte del beneficio della lavorazione con gli animali. Si è perciò studiato di costruire qualche strumento capace di lavorare con gli animali, anche questa striscia di terra. In Francia, di questi strumenti se ne conoscono di diversi tipi: i più interessanti sono certe specie di aratri ( che i Francesi chiamano charrues dé-cavailloneuses, perché essi dicono cavaillon quella certa striscia di terra), capaci di spingersi sin sotto i ceppi, senza però danneggiare i medesimi. Finora come vi dicevo, questi strumenti non si sono ancora diffusi in Italia: ma io ve li ho ricordati, perché credo che sarebbero degni di essere provati e studiati anche dai nostri viticoltori. E concludo su questa lavorazione dei vigneti: riteniamo dunque che essa, nelle nostre regioni , è necessaria; tanto più profonda, quando il clima è arido; mai però fino al punto da dover danneggiare le radici della vite.


E per quanto possibile, cerchiamo di sostituire alla lavorazione con gli operai quella con gli animali, perché in questo modo diminuiremo di non poco le spese di coltivazione del vigneto. Buona notte a lor signori.

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