venerdì 11 febbraio 2011

quindicesima puntata

Pensavo oggi, incominci il Cavalier Prosdocimo, che, siccome “ogni bel ballo stufa”, come dicono i Veneziani, se io non voglio annoiarvi del tutto bisogna che veda di finir presto queste mie chiacchiere: Ed ho quindi deciso di ridurre ai minimi termini quanto ancora mi resterebbe da dirvi, lasciando tutto ciò che non è assolutamente necessario a sapersi.
V’è però un argomento cui non voglio rinunciare, perché è già stato anche troppo trascurato finora, mentre ha tanta importanza per la viticoltura: l’argomento dei sostegni della vite.












Può sembrare strano che i sostegni abbiano una grande importanza. Ed effettivamente sarebbe strano se io con ciò volessi dire che i sostegni servono ad aumentare notevolmente la produzione della vite. Io invece voglio dire quasi il contrario: che cioè, visto che i sostegni non possono troppo direttamente influire sulla produzione della vite, così è per noi molto importante trovar il modo di ridurli al minimo strettamente necessario, economizzando su di ogni più piccola spesa al riguardo.
Una volta quest’argomento aveva poca importanza: le vigne non erano molto estese, e molto estesi erano invece i boschi; il legname quindi abbondava e costava poco. Oggi al contrario sono i boschi che scarseggiano e le vigne che abbondano. Se si aggiunge che il legname trova oggi sempre nuove e più importanti destinazioni in industrie speciali; se si aggiunge che al costo della mano d’opera necessaria per mettere in opera e mantenere all’ordine i sostegni stessi, si comprende come oggi sia importante, ripeto, trovar il modo di far economia in questo capitolo del bilancio viticolo.

Per far economia, bisogna scegliere anzitutto i sostegni più economici. Non bisogna credere che i sostegni più economici sian quelli che costano meno. Anche dei sostegni che si pagano assai cari posson riuscir molto economici, quando il loro costo elevato sia compensato da una lunga durata. Perciò, in generale bisogna cercare di aumentare la durata dei sostegni. Vediamo in quali modi.
Qui dovrei fare prima un po’ di distinzione fra i vari sostegni; e dovrei incominciar a distinguere quelli vivi da quelli morti. Permettetemi di non parlarvi dei vivi, cioè degli alberi cui si marita la vite ( il migliore dei quali resta sempre l’acero), per limitarmi come il breve tempo mi costringe, a quelli morti. Questi possono essere di legno o d’altro materiale. Quelli di legno possono essere pali di varie essenze: robinia, salice, castagno, quercia, olmo, pino.

Una parola sola su uno di essi: la robinia, o falsa acacia. Ed è una parola di lode per questa pianta, altrettanto utile quanto modesta. Io vorrei che voi la coltivaste più di quanto non facciate. Io vedo sovente dei lembi di terreno inutilizzati: sono ciglioni e scarpate di strade, argini di canali, sponde di fiumi o torrenti abbandonate, perché soggette a poco gradite visite delle acque. Ecco tanti terreni da destinare alla robinia. Essa s’accontenta di così poco. Certamente, sui ghiaieti d’un fiume non darà risultati così brillanti come in un buon terreno coltivato; ma appunto perché quello altrimenti non produrrebbe nulla, la robinia diventa preziosa.
Dicevamo, dunque, che occorre cercar di aumentare la durata di questi pali, la quale come sapete, è sempre più o meno breve. Non intendo di parlarvi di tutti i processi ideati a questo scopo; mi accontento di ricordarvene qualcuno.
Buon sistema è quello di spalmar la parte del palo che deve andare sottoterra, con del catrame di carbon fossile o meglio anche con del carbolineum. Queste sostanze impediscono all’acqua del terreno di penetrare all’interno dei pali e di farli marcire. Buona cosa, trattandosi di grossi pali di testata, ogni due o tre anni scalzarli presso la superficie del suolo, ripulirne e asciugarne il tratto vicino a terra, e poi pennellarlo con catrame caldo o pece, perché è appunto questo primo tratto che sta sottoterra, che va più soggetto ai danni delle muffe e delle intemperie.
Un ottimo sistema di prolungare la durata dei pali è poi quello di far loro subire un bagno di solfato di rame al 3 o 5 per cent. Immergendoli in questo bagno, posto entro una vasca di pietra o di cemento, o anche di legno e lasciandoveli per una settimana ( o se sono troppo lunghi, si da doverli immergere prima da una parte, poi dall’altra, lasciandoveli per una quindicina di giorni), essi s’imbevono completamente di solfato di rame, che, essendo un potente antisettico, li preserva ottimamente da alterazioni.
Un trattamento analogo, con solfato di rame al 3 per cento, è pure utile per aumentar la durata delle canne.
Voi sapete che la canna è uno dei sostegni più usati per le viti, perché ha realmente non pochi vantaggi. Ed è per ciò che sovente s’è raccomandato ai viticoltori il loro pezzo di canneto, come dote della vigna. Il consiglio è certamente buono per liberarli dalla necessità di comprar sul mercato le canne, pagandole talvolta molto care; ma oggi non mi sentirei più di darlo con la stessa sicurezza di un tempo, perché le canne non son più, come lo erano allora, nelle mie grazie. Esse difatti, a lato dei vantaggi, hanno parecchi inconvenienti. Anzitutto, avendo necessariamente una robustezza limitata, devono essere usate in numero grandissimo, ciò che, oltre ad elevar la spesa del materiale, rende anche elevatissima la spesa annuale di mano d’opera pel riattamento delle impalcature dei filari. Per di più esse sono il rifugio ideale degli insetti dannosi alla vite, e specialmente delle crisalidi delle tignuole dell’uva. Ora, voi capite che è poco ragionevole procurare ai nostri nemici dei comodi quartieri dove passare l’inverno. Quindi io vorrei che l’uso delle canne nei vigneti andasse sempre più riducendosi.
Del resto, anche i pali di legno di cui si parlava prima, screpolandosi col tempo, offrono agli insetti numerosi e graditi rifugi. Ed è per ciò che, soprattutto all’estero, essi van bandendosi dai vigneti, e si van sostituendo con sostegni di altra natura.
Fra questi, il ferro occupa un posto importante. Veramente, anche da noi il ferro è oggi molto usato sotto forma di fili di varie grossezze. E’ inutile che io venga qui a dimostrarvi tutta la grande utilità del filo di ferro per sostenere le viti. Ormai non v’è regione viticola progredita che non l’abbia adottato su vasta scala. Esso difatti dà alle spalliere dei vigneti una resistenza notevolissima, unità ad una leggerezza e semplicità ammirevoli.
E’ appena il caso di ricordare come si debba usare filo di ferro zincato o galvanizzato, per preservarlo dalla ruggine. Siccome però il solfato di rame, che si usa per la lotta contro la peronospora, finisce con l’asportare il rivestimento di zinco, così alcuni adottano inutilmente l’incatramatura di questi fili. Voi sapete che essi si misurano con calibri di vari numeri: nei vigneti più bassi il più usato è il 14. E’ bene avvertire come, per dare alle spalliere una buona solidità, occorre che i fili siano ben tesi. Ciò s’ottiene facilmente con l’uso di appositi tendifili, di cui alcuni modelli assai buoni servono molto bene allo scopo.
Oggi però il ferro va usandosi anche per farne pali da vigneto. La forma e le dimensioni di questi pali variano molto: sono a T o a L, o rotondi, pieni o vuoti; sovente terminano in basso con una piastra che serve a meglio fissarli al terreno; un’altra volta invece s’impiantano in uno zoccolo di pietra o di cemento. Talvolta, per dar maggior resistenza ai pali di testa dei filari, si muniscono di saette, pure in ferro, inclinate verso l’interno del filare. Certamente questi pali di ferro sono eccellenti, perché robustissimi, snelli eleganti, e, se mantenuti ben verniciati, di lunghissima durata. L’unico inconveniente, un po’ grave è vero, che essi presentano, è quello di costare alquanto cari. Ed è per ciò che in Italia si sono ancora poco diffusi, mentre lo sono assai più in Germania, dove il ferro costa meno che da noi. Sapendo però procurarsi del materiale di ferro usato si può realizzare un’economia assai notevole. Molto indicati, a questo riguardo, sono i tubi di ferro di vecchie caldaie a vapore, che si possono avere a buone condizioni dagli arsenali, da società tranviarie, ecc. Ed è perciò bene che i viticoltori lo sappiano.
Un materiale che poi oggi va guadagnando sempre maggiori simpatie per i molti vantaggi che presenta, è il cemento armato. Il grande vantaggio dei pali di cemento armato è quello che possono essere costruiti sul posto dagli stessi viticoltori, con un risparmio di spesa non indifferente.
Che cosa occorre per costruirsi i pali in cemento armato per i vigneti? Anzitutto uno stampo di legno, che può essere di pioppo o d’abete, tenuto chiuso da bulloni a vite, e ben unto internamente di sego. Naturalmente, bisogna che lo stampo abbia la forma che noi vogliamo dare al palo. Una delle migliori è quella di due tronchi di piramide addossati per la base maggiore. Una delle due piramidi sarà più breve e più tozza: è quella che deve stare sottoterra; l’altra, più lunga e sottile, starà fuori terra. Il materiale occorrente per la costruzione del palo è costituito da una malta di buon cemento di Casale a lenta presa, mescolato a due volte o due volte e mezzo di sabbia di fiume ben lavata, bene impastati fra loro con poca acqua ( circa 15 parti su cento di miscela sabbia/cemento); e da tre tondini di ferro di 4 o 5 millimetri di diametro. S’incomincia a stendere la malta nello stampo, comprimendola ben bene con un apposito mazzuolo di ferro; poi si distendono sulla malta due tondini;poi si versa altra malta, si comprime, si pone il terzo tondino, e si finisce di riempir lo stampo di malta, sempre comprimendolo, non eccessivamente.
Dopo almeno 48 ore, i pali possono essere estratti dalle forme. Si lasciano prima indurire su alcune tavole orizzontali, bagnandoli leggermente due volte al giorno. Poi si drizzano contro un muro, e si lasciano così per un mese. Dopo di che si possono piantare. Non sarà inutile osservare che, siccome non si possono in essi piantar chiodi, così è bene costruendoli, lasciar dei fori in corrispondenza dei punti dove si devono far passare i fili di ferro. Per lasciare questi fori, basta forare in corrispondenza lo stampo, e, mentre si riempie di malta, far passare per il foro un filo di ferro, facendolo girare su se stesso ripetutamente, poi estraendolo.
Le dimensioni di questi pali variano naturalmente a seconda dello sforzo che debbono esercitare. Per vigneti bassi, l’altezza complessiva varia da m.1,60 a 2,50; lo spessore da 8 a 12 cm. alla base maggiore.
Ho detto che questi pali han molte buone qualità. Costruiti dallo stesso viticoltore durante l’inverno quando i lavori sono pochi, vengono a costare assai meno dei pali in ferro ( non superando in generale una lira ciascuno); sono non meno resistenti ne duraturi di questi, quando appena si eviti di urtarli violentemente con gli strumenti di lavoro (aratri, picconi, zappe). Anch’essi, come quelli in ferro, offrono il vantaggio su quelli di legno di non dar asilo agli insetti; e, per la maggior solidità che essi forniscono alle spalliere dei filari, di ridurre di molto le spese annuali di riattamento delle spalliere stesse. Ecco dunque, come anche in fatto di sostegni, i viticoltori abbiano qualcosa da imparare e non poco da progredire. Dopo di che, per questa sera faccio punto e vi mando a letto tutti quanti!

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