lunedì 4 aprile 2011

sedicesima puntata

Le nostre serate volgono al termine, incominciò il Cavaliere, con dispiacere mio, ma forse con piacere vostro. Sento perciò il dovere di condensare le ultime nozioni più importanti, per non sentirmi poi troppi rimorsi di coscienza, per aver lasciate lacune troppo gravi: E perciò stassera credo venuto il momento di parlarvi un po’ più particolarmente delle principalissime viti americane, che possono essere necessarie per la ricostruzione dei vostri vigneti, il giorno in cui la fillossera ce li distruggerà. Non ripeterò ciò che già un’altra sera v’ho detto sui problemi che debbono tenersi presenti prima di accingersi a tale impresa di ricostituzione: impresa non facile, ne priva di spiacevoli sorprese se non si procede con molta prudenza. Mi limito invece a farvi conoscere qualcuna fra le viti americane che oggi più sono apprezzate. Dico subito che esse appartengono a tre specie diverse: Vitis Riparia, Vitis Rupestris, Vitis Berlandieri. Alcune sono varietà pure, altre sono ibridi, cioè incroci dell’una specie con l’altra.
Incominciamo dalle prime:
La Riparia è una delle più preziose viti americane, che si usi come soggetto per gl’innesti delle vite nostrane. Senza starvela a descrivere, mi limito a presentarvene la figura. Voi vedete com’essa abbia delle foglie caratteristiche, a forma quasi di cuore, con dentatura molto lunga, slanciata ed acuta, di grandezza sempre notevole, di color verde intenso, talora brillante, per lo più sprovviste di peli, cioè glabre. E’ vite molto vigorosa, i cui tralci diventano in breve lunghissimi, e , con le loro foglie di grandi dimensioni, danno alla pianta una vegetazione lussureggiante. Ottime viti ho detto, soprattutto due sue varietà: la Riparia grande glabre e la Riparia Gloire (de Montpellier). Ma per dar buoni risultati, essa vuole condizioni di terreno adatte: e precisamente un terreno mezzano, profondo, fresco, ricco. In terreni aridi, o grossolani, o superficiali, o magri essa vegeta stentatamente e non rivela molte sue virtù. Non solo: ma essa teme molto il calcare; se questo componente si trova sul terreno in proporzioni superiori al 10/12 per cento, la Riparia ingiallisce, intristisce, soffre gravemente di clorosi. Coltivata in terreni adatti, essa mostra invece una vigoria notevole, una resistenza alla fillossera elevatissima, e le viti innestate su di essa forniscono una ottima produzione.
La seconda specie americana importantissima è : La Rupestris.
Essa ha un aspetto e un comportamento assai diverso dalla precedente. E’ una vite che assume una forma cespugliosa, con dimensioni molto ridotte della Riparia; con foglie piccole, assai più larghe che lunghe, tondeggianti, con una lucentezza sovente quasi metallica, con un seno peziolare talvolta straordinariamente aperto, con un colore sovente che tende al bronzato, quasi rossiccio: I suoi tralci non s’allungano mai di molto, ma piuttosto si ramificano notevolmente. La Rupestris presenta numerose varietà, tutte coltivate su vasta scala: per non ricordarvene che qualcuna delle principali, vi nominerò la Rupestris metallica ( così detta per il colore delle sue foglie); la Rupestris du Lot (caratterizzata da un seno peziolare a graffa); la Rupestris Martin, la Rupestris Ganzin, la Rupestris Mission, ecc.
In generale le Rupestris s’adattano a terreni assai diversi da quelli delle Riparie. Esse infatti amano terreni piuttosto magri, grossolani, ciottolosi, asciutti resistendo abbastanza bene alla siccità, grazie alle loro radici che s’approfondiscono molto nel terreno. Non bisogna però credere che non abbiano bisogno di acqua: al contrario, occorre che esse ne trovino ad una certa profondità, se no soffrono molto la siccità. Tollerano il calcare meglio della Riparia, resistendo anche al 30/35 per cento di calcare: ma non di più. La loro resistenza alla fillossera, benché un po’ inferiore a quella della riparia, è però praticamente sufficiente. Tuttavia in questi ultimi tempi le Rupestris, specialmente la Du Lot, han dato luogo a discussioni poco confortanti. In più d’un caso, gl’inconvenienti che esse hanno mostrato sono stati gravi. Ricordo la colatura dei fiori, cui sovente sono andati incontro le viti nostrane innestate su di esse (specialmente se in terreni fertili); ricordo il frequente sviluppo su di esse di una grave malattia, detta Roncet: E’ perciò che la coltivazione delle varietà di Rupestris va alquanto restringendosi: Tuttavia esse trovano sempre utili applicazioni in terreni poco fertili, ciottolosi, alquanto calcari, asciutti ma non troppo siccitosi.
La terza specie, importantissima di viti americane è: La Berlandieri.
Questa vite ha caratteri importanti. Come aspetto e comportamento si direbbe intermedia fra la Riparia e la Rupestris. Ha tralci angolosi, foglie di media grandezza, quasi rotonde, d’un bel colore verde cupo lucente alla pagina superiore; d’un verde più pallido, piuttosto tomentose inferiormente. Le due varietà più conosciute e adoperate di questa specie sono la Berlandieri Rességuier n° 1 e la n° 2. Entrambe hanno caratteristiche press’a poco eguali. Quella che costituisce il loro merito principale è la straordinaria resistenza ai terreni molto calcari. Fino al 70 e più per cento di calcare è bene tollerato da queste viti. Anche alla siccità esse resistono in modo notevole; per cui esse sarebbero degli ottimi portainnesti, se non avessero un difetto che certamente è grave: quello di essere difficilissime da moltiplicarsi per talea. La Berlandieri difatti stenta moltissimo ad emettere radici dai tralci sotterrati, ciò che è causa di numerose fallanze. E poiché i metodi che possono adottarsi per ovviare a questo inconveniente non sono tutti facili ad applicarsi, così la moltiplicazione per talea della Berlandieri è bene lasciarla fare ai vivaisti di professione. Questo difetto grave della Berlandieri s’è però di molto diminuito nei suoi ibridi con le specie precedenti. E diciamo qualcosa dei principali ibridi americani, che oggi possono adoprarsi come portainnesti nei vigneti fillosserati.
Un primo gruppo importantissimo di questi ibridi è quello delle Riparia x Rupestris.
Non voglio confondervi la testa con molte cose: mi limito a ricordarvene tre, tutti buoni: il 3309, il 3306, il 101-14 ( come v’ho già detto, questi ibridi sono distinti dal numero che portavano nei vivai degli ibridatori che li hanno creati).
La Riparia x Rupestris 3309 s’addice a terreni di media fertilità, piuttosto asciutti; supporta fino al 35 per cento di calcare; resiste ottimamente alla fillossera; presenta un ottimo attecchimento per tale e per innesto; dà grande fecondità alle vite nostrane che sovr’essa s’innestano.
La Riparia x Rupestris 3306 s’adatta a terreni argillo-calcari; piuttosto freschi; resiste fino al 25/30 per cento di calcare; resiste ottimamente alla fillossera; attecchisce bene per talea e abbastanza bene per innesto.
La Riparia x Rupestris 101-14 s’adatta a terreni argillosi piuttosto compatti poco calcari ( con meno del 20 per cento), non troppo asciutti; resiste bene alla fillossera; riesce bene per talea e per innesto; da molta fecondità alle vite nostrane.
Altro gruppo importantissimo di ibridi è quello delle Berlandieri x Riparia.
In essi trovansi riuniti molti dei pregi della Berlandieri e della Riparia; e rappresentano quindi sovente dei portainnesti preziosi. I principali sono:
La Berlandieri x Riparia 420-A, che s’adatta a terreni molto secchi e calcari, per la grandissima resistenza alla siccità, al calcare ( fino al 70 per cento ), alla fillossera. Attecchisce discretamente bene per talea, bene per innesto; da ai nostri vitigni grande fertilità e precocità.
La Berlandieri x Riparia 420-B, pur essa resistentissima alla siccità, al calcare e alla fillossera; ma un po’ meno vigorosa della precedente.
La Berlandieri x Riparia 157-11, s’adatta a terreni argillo-silicei, anche piuttosto secchi, mediocremente calcari; resiste bene alla fillossera; attecchisce bene per tale e per innesto; è molto rigogliosa.
La Berlandieri x Riparia 34-E, s’adatta a terreni piuttosto freschi, molto calcari (fino al 75 per cento); resiste bene alla fillossera; attecchisce bene per tale, benissimo per innesto.
Un altro gruppo di ibridi è quello delle Berlandieri x Rupestris.
Fra di essi, benché abbiano qualche buon esemplare, non troviamo dei portainnesti così pregiati come nei gruppi precedenti. Ecco tuttavia i più notevoli:
La Berlandieri x Rupestris 219-A, s’adatta a terreni anche secchi, ciottolosi, purché permeabili;resiste bene al calcare e alla fillossera; attecchisce bene per innesto e per talea; è molto vigorosa.
La Berlandieri x Rupestris 301-A, s’adatta a terreni calcari piuttosto freschi; resiste bene alla fillossera; si moltiplica bene per talea e per innesto.
La Berlandieri x Rupestris 17-37, s’adatta a terreni profondi, permeabili, abbastanza calcari ( fino al 60/65 per cento), non eccessivamente secchi. Si moltiplica bene per innesto e talea.
V’è poi un gruppo di ibridi portainnesti, ottenuto dall’incrocio di qualcuna delle specie americane precedenti con la vite europea. Credo bene premettere che in generale questi Ibridi americano x europei, se hanno dei pregi di adattamento ai nostri climi e terreni, hanno però quasi tutti una resistenza alla fillossera minore dei precedenti; resistenza che può anche, in condizioni non troppo favorevoli, diventare insufficiente. Perciò non sarà male raccomandare di essere assai prudenti nel ricorrere a questi ibridi con sangue europeo. I più importanti di questi sono:
Il Chassellas x Berlandieri 41-B, che s’adatta a terreni molto calcari, piuttosto fertili e abbastanza freschi; per quanto in alcuni casi (Sicilia) si mostri prosperoso anche in terreni aridi. La sua resistenza alla fillossera finora si mostra buona.
Il Mourvèdre x Rupestris 1202, s’adatta a terreni profondi, ricchi, freschi e anche molto calcari (65 per cento).E’ molto vigoroso. La resistenza alla fillossera sembra buona.
Il Cabernet x Berlandieri 333-E.M. buono per terreni calcari, dove finora resiste bene alla fillossera.
L’Aramon x Rupestris Ganzin n°1, ve lo metto per ultimo, mentre fino a qualche anno fa si sarebbe dovuto porre in testa agli altri. Ma in questi ultimi tempi esso, specialmente in Sicilia, ha dato luogo ad allarmi impressionanti, poiché sembrava che la sua resistenza alla fillossera fosse del tutto insufficiente. In realtà, questa insufficienza era più che altro dovuta alle cattive condizioni del terreno in cui esso era usato. Tuttavia sarò prudente riservarlo per terreni buoni, freschi, profondi, fertili, non troppo calcari. E, visto che abbiamo portainnesti più sicuri, sarà forse meglio rinunciarvi senz’altro.
Oltre a questi ibridi portainnesti, abbiamo un’altra categoria di ibridi, di cui oggi si fa tanto parlare: quella dei produttori diretti. V’ho già detto altra volta come essi dovrebbero rappresentare la vite ideale dell’avvenire, resistente alla fillossera ed agli altri parassiti, perfettamente adatta ai nostri climi e ai nostri terreni, e capace di darci, senza l’innesto, dell’uva di ottima qualità. Ma v’ho anche detto che, finora, questa vite ideale non s’è ottenuta. Abbiamo molti, troppi vitigni, che hanno una discreta resistenza alla fillossera e che danno un discreto prodotto; ma dal discreto all’ottimo il passo è ancora lungo.
Alcuni di questi produttori diretti sono già vecchiotti. Per lo più questi sono distinti da una resistenza alla fillossera del tutto insufficiente; da un prodotto di qualità mediocre 8per lo più con un aroma e sapore molto accentuato di volpino, o di foxy, che dir si voglia); però da una buona resistenza alle malattie crittogamiche: L’esempio forse migliore di questo gruppo è dato dal Clinton, che è abbastanza largamente coltivato in tutta l’Alta Italia. Abbiamo poi i produttori diretti più recenti, alcuni dei quali notevoli perché discretamente resistenti alla fillossera, ottimamente resistenti alle crittogame, e capaci di dare un prodotto che, se non avrà meriti speciali, avrà almeno sui vecchi produttori diretti il merito di non accusare un foxy troppo accentuato. Alcuni anzi hanno profumo e sapore quasi del tutto franchi. Questi nuovi produttori diretti si conoscono oggi in commercio col nome dell’ibridatore che li ha prodotti, e con un numero. Son quasi tutti a base di sangue di Rupestris e di Vinifera; pochi con Riparia o altre specie. Fra i più importanti cito i seguenti:
Seibel n° 1,156,1000,1020,1077,2007 a frutto nero; 420,857 a frutto bianco.
Couderc n° 4401,7120,28-112,106-46 ad uva nera; 74-17,146-51,175-38,272-60 ad uva bianca.
Castel n° 13317,3639,4308,5819 ad uva nera; 1028,13706,1832 ad uva bianca
Ancora in fama sono oggi : il Parde-Lacoste; il Terras n° 20; il Jouffreau; il Furie n°580, il Chazalon 1, il Chenivesse1, 11.
Per concludere su questi nuovi produttori diretti: quale importanza pratica hanno al presente questi vitigni?
Secondo il mio modo di vedere, senza lasciarsi trascinare da entusiasmi fuori posto, ne da una eccessiva severità, si può ritenere che questi vitigni possono trovar utili applicazioni la dove le condizioni naturali della località non permettono di ottenere dalla vite prodotti di pregi e fama speciali. Dove alla vite non si domanda che un prodotto comune, destinato al consumo locale e popolare; dove alla vite non si possono dedicare molte cure di coltivazione, perché altre piante più importanti, soprattutto erbacee, assorbono la maggior parte del nostro tempo, in queste condizioni i produttori diretti, i quali, se ben scelti, fanno a meno dei trattamenti contro le malattie crittogamiche, ed hanno una notevole rusticità, possono essere proficuamente coltivati. Ma in condizioni diverse da queste, per ora non c’è posto per essi.
Ed ho finito per stassera, riservandomi di chiudere definitivamente le mie chiacchiere una prossima volta.

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